Home Ambiente Gestire la fauna selvatica: curare un esemplare per salvare l’intero gruppo.

Gestire la fauna selvatica: curare un esemplare per salvare l’intero gruppo.

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Un articolo pubblicato a luglio 2024 sulla rivista scientifica Science solleva una domanda cruciale e difficile: “La riabilitazione degli animali selvatici funziona davvero?”. La questione, complessa e articolata, si inserisce in un contesto più ampio: la convivenza spesso difficile tra esseri umani e le numerose specie animali che abitano sia gli ambienti naturali, sempre più ridotti e frammentati, sia gli spazi antropizzati. Le specie selvatiche, che comprendono tutte le forme di vita eccetto la nostra e pochi animali addomesticati negli ultimi 12.000 anni, si trovano a fronteggiare i rapidi cambiamenti del loro habitat, causati dalle attività umane che hanno trasformato quasi tutte le terre emerse abitabili del pianeta. Questo fenomeno è definito nella letteratura scientifica come human-wildlife conflict, un termine con connotazioni prevalentemente negative.

Il conflitto tra umani e animali selvatici si manifesta in incontri quasi sempre involontari, che spesso hanno esito dannoso per gli animali, come incidenti stradali, avvelenamenti e trappole dei bracconieri.

Per mitigare gli effetti di questa difficile convivenza, molte persone e associazioni si dedicano al recupero e alla cura della fauna selvatica in difficoltà. In Italia, i primi Centri di Recupero Animali Selvatici (CRAS) sono stati istituiti negli anni Sessanta e, dopo un lungo periodo di gestione privata, sono stati sistematizzati con la legge 157/1992, che attribuisce alle Regioni e alle Province autonome la responsabilità della gestione della fauna selvatica, riconosciuta come patrimonio indisponibile dello Stato e quindi tutelata nell’interesse della comunità.

I CRAS colmano un vuoto istituzionale fondamentale, operando sul territorio e, spesso, seguendo un’etica che prioritizza il benessere degli individui non umani, pur rispettando la loro natura selvatica.

Per rispondere alla domanda posta dall’articolo di Science, abbiamo esaminato la situazione in Italia, rivolgendoci a un CRAS storico del nostro paese: il CRASE Monte Adone (oggi noto come Centro Tutela e Ricerca Fauna Esotica e Selvatica – Monte Adone), situato a Sasso Marconi, in provincia di Bologna.

Nel 2024, Elisa Berti, direttrice del Centro, ha pubblicato il libro Come il respiro del vento. Una storia vera, edito da Sonzogno, che narra la storia trentennale del Centro e raccoglie alcune delle storie di recupero e tutela più toccanti e insolite condotte dalla famiglia Berti e dai volontari.

I racconti del libro offrono una risposta chiara alla domanda sulla reale efficacia della riabilitazione: per il CRASE Monte Adone, il valore principale risiede nella tutela del benessere, nella restituzione della dignità e, se possibile, della libertà a ogni singolo animale. In questa prospettiva, il successo a lungo termine del reinserimento dell’animale in natura viene considerato un aspetto secondario.

Una delle storie più significative raccontate nel libro è quella di “Nonno Lupo”, un lupo anziano arrivato al Centro in condizioni di salute molto gravi, ma non irreversibili. Dopo settimane di cure, il lupo inizia a mostrare segni di disagio verso la nostra vicinanza, un indicatore che è pronto a tornare in libertà. Seguendo il rilascio, il monitoraggio con il radiocollare rivela che “Nonno Lupo” si muove nel suo territorio e sopravvive senza difficoltà nonostante le limitazioni dovute all’età avanzata. Tuttavia, a un certo punto, il radiocollare emette un segnale diverso: il lupo è morto in modo naturale, in una zona vicina al Centro dove era stato curato. Elisa Berti si reca a recuperare il corpo e, osservandolo in silenzio, riflette sul profondo valore della libertà fino alla fine: “Ho una conferma potente del significato di morire liberi. […] Credo che la cosa più rispettosa per un lupo sia permettergli di morire da lupo; è lo stesso per qualsiasi altro animale. Non possiamo permettere che terminino la loro vita in un contesto che non è il loro.”

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