Home Attualità Perché soffriamo di più per i cuccioli (e meno per gli amici): la strana equazione dell’empatia umana.

Perché soffriamo di più per i cuccioli (e meno per gli amici): la strana equazione dell’empatia umana.

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Ricevo costantemente messaggi che condividono la stessa, intensa confessione: l’incapacità di leggere determinate storie di cani e gatti pubblicate su La Zampa. L’effetto è descritto come un dolore profondo, quasi fisico, per creature mai incontrate. In quelle situazioni e in quegli sguardi, i lettori vedono un’innocenza tradita che li travolge, generando rabbia, pianto e un senso di profonda impotenza.

Se vi riconoscete in questo tumulto emotivo, sappiate che accade lo stesso a me. Scrivere queste storie scatena una commozione reale e intensa, che va oltre la semplice compassione. È un’onda emotiva che, giorno dopo giorno, mi spinge a continuare questo lavoro. Questa empatia viscerale verso gli animali rivela un profondo punto di connessione, quasi un rifugio emotivo.

Ed è qui che nasce la domanda che ci poniamo insieme: perché accade? Perché siamo capaci di soffrire così intensamente per un cane o un gatto sconosciuto, talvolta più di quanto ci lasciamo toccare dalle sofferenze umane lontane?

Una delle ragioni immediate del nostro coinvolgimento risiede nella percezione di vulnerabilità e dipendenza. Gli animali domestici come cani e gatti evocano intrinsecamente un senso di “indifeso”. L’Impatto della Vulnerabilità: Diversi esperimenti psicologici dimostrano che l’impatto empatico percepito è spesso superiore quando la vittima è un cucciolo o un animale vulnerabile, superando talvolta la reazione emotiva suscitata da un adulto umano in difficoltà; Biologia e Neurocognizione: Questa non è solo una questione culturale. Recenti studi suggeriscono che parte della spiegazione è biologica. Cani e gatti, in quanto mammiferi evolutivamente “vicini”, attivano i nostri circuiti di empatia più facilmente rispetto a specie distanti (rettili o insetti).

Segnali Riconoscibili: I loro segnali emotivi (sguardi, vocalizzazioni, posture) sono più facilmente decifrabili dalla nostra neurocognizione sociale. Un cane maltrattato o un gatto spaventato comunicano una sofferenza chiara e vulnerabile, percepita come bisognosa di protezione, creando una connessione emotiva forte e immediata.

Un significativo studio della Penn State University ha esplorato la nostra disponibilità a empatizzare con gli animali rispetto agli esseri umani, rivelando quanto sia cruciale il contesto.

La Scelta Diretta: Quando ai partecipanti veniva richiesto di scegliere direttamente tra aiutare un umano sconosciuto o un animale, l’empatia verso l’umano prevaleva, la Scelta Aperta: Tuttavia, quando l’alternativa era semplicemente empatizzare o non empatizzare (senza mettere le due sofferenze in competizione), le persone si dimostravano più inclini ad aprirsi e a provare compassione per l’animale.

Questo è il punto chiave: quando la sofferenza umana e quella animale non sono poste in diretta competizione, l’attenzione e la compassione verso i secondi possono diventare predominanti. Questo meccanismo aiuta a spiegare la nostra reazione viscerale alle storie di cani e gatti, contrapposta al distacco o alla rassegnazione che spesso proviamo di fronte a problemi umani lontani, complessi e ricorrenti.

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